Cheratocono

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Terapia del cheratocono

Il cheratocono è una malattia che produce uno sfiancamento ed una riduzione di spessore della cornea (parte trasparente dell’occhio) che causano spesso una diminuzione della qualità visiva, soprattutto negli stadi avanzati.

Nel nostro studio offriamo assistenza completa per quanto riguarda la diagnostica, il monitoraggio, la cura della malattia e la correzione del difetto visivo derivato tramite prescrizione di occhiali o lenti a contatto (particolarmente indicate in questo tipo di malattia se si vuole ottenere il massimo della qualità visiva).

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Che cos'è il cheratocono
La cornea è un tessuto trasparente che ricopre iride e pupilla come fa il vetro di un orologio con il quadrante. Essa rappresenta la più importante lente della “macchina fotografica” occhio. Di conseguenza anche una sua piccola deformazione produce una modificazione delle immagini percepite dall’occhio.
Il cheratocono (dalla parola greca Kerahtokonus, che significa cornea conica) è appunto una deformazione verso l’esterno (ectasia) della cornea. Insorge, normalmente, durante la pubertà o poco dopo. E quasi sempre colpisce entrambi gli occhi ed è presente circa in un caso per 2.000 abitanti. Può progredire, in alcuni casi, rapidamente (soprattutto nei giovani) ma può anche arrestarsi o evolvere molto lentamente nei decenni.
La causa di questa malattia è ancora sconosciute ma si ipotizza una relazione genetica in quanto è dimostrata una prevalenza in vari soggetti della stessa famigli nell’11 per cento circa dei casi.
Quando il cheratocono peggiora la cornea si assottiglia e si opacizza e si deve ricorrere alla chirurgia. L’intervento più usato è il trapianto di cornea.
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Quali sono i primi disturbi e come si diagnostica il cheratocono
Inizialmente il cheratocono si manifesta con la comparsa d’astigmatismo instabile e difficile da correggere bene con occhiali. Possono manifestarsi altri disturbi come fastidio alla luce e lacrimazione. La diagnosi la fa solo l’oculista con la topografia (o mappa) corneale. Con questo strumento si possono anche vedere le caratteristiche dell’ectasia e controllarne l’evoluzione. È importante anche misurare l’eventuale riduzione dello spessore corneale (pachimetria).

Quando intervenire e come
Come abbiamo detto il cheratocono può anche fermarsi e non evolvere e in tal caso, se casi vede abbastanza bene con un occhiale, basta quello. Se la malattia si aggrava o il soggetto non vede abbastanza bene bisogna applicare delle apposite speciali lenti a contatto (LAC). Le lenti, inoltre, ricostruendo sull’esterno dell’occhio una superficie regolare, consentono in genere un’ottima vista. Viceversa, lenti inidonee, applicate sull’apice dell’ectasia, possono aggravare la malattia.
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Quali lenti a contatto si devono usare
Le lenti rigide gas permeabili sono le più usate. Ma si usano lenti morbide speciali e talora lenti miste o doppie (morbide e rigide assieme). La cosa più importante è la tecnologia applicativa.
Le lenti a contatto più usate sono quelle rigide gas permeabili (o semirigide); esse devono essere assolutamente personalizzate e seguire precisi requisiti d’applicazione per evitare peggioramenti della malattia. Attualmente abbiamo delle lenti rigide che vengono progettate direttamente sui dati della superficie oculare che ricaviamo dalla topografia (vedi lenti “a Calco”).

Quando e quale intervento chirurgico bisogna eseguire
L’approccio corretto da parte di un medico oculista che si occupa di contattologia, quasi sempre consente un buon uso delle lenti a contatto, ma se ciò non accade, si possono intraprendere delle pratiche chirurgiche.
Si usano la cheratoplastica lamellare profonda, l’inserzione degli anelli intracorneali e, in alcuni casi molto selezionati, si può anche intervenire con il laser ad eccimeri (vedi avanti).
Oggi nelle fasi precoci della malattia possiamo intervenire con il trattamento di rinforzo corneale detto cross-linking (vedi documento dedicato).
Nei casi evoluti e gravi si usa il trapianto di cornea. Si calcola però che meno del 15 per cento dei cheratoconi finiscono al trapianto.
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La mappa topografica corneale
Come una carta geografica fisica, la topografia corneale ricostruisce la forma del cheratocono, della sua ectasia. Quest’esame computerizzato è l’unico modo di fare diagnosi di cheratocono nelle fasi iniziali della malattia.
Ecco alcuni esempi:
L’area rossa è l’ectasia (la deformazione esterna della cornea).
Eccola con una rappresentazione “assiale” e con una rappresentazione “di curvatura” (stesso caso) con una più vera riproduzione della forma della zona malata.

Scegliendo algoritmi di calcolo differenti si possono conoscere diverse caratteristiche dell'ectasia, sia per quanto riguarda l'aspetto morfologico, ma anche per lo studio refrattivo della cornea affetta.
Grazie allo studio topografico possiamo comprendere non solo se il cheratocono stia evolvendo (e quindi se sia il caso di intervenire chirurgicamente), ma anche quale sia la migliore correzione del difetto refrattivo, tramite occhiale o lente a contatto.
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Correzione del cheratocono: tramite occhiale o lenti a contatto

LENTI RIGIDE GAS PERMEABILI (RGP)
Sappiamo che le lenti a contatto RGP rappresentano molto spesso l’unico mezzo correttivo efficace per correggere un cheratocono più o meno avanzato.
La soddisfazione funzionale, ottenibile anche con applicazioni non corretta, fa sì che molti soggetti utilizzino lenti applicate male, non di rado con gravi conseguenze.
Le lenti applicate troppo piatte, assieme all’accanimento all’uso, alla progressione del difetto (che rende una LAC piatta se non sostituita a tempo debito) e all’assenza di controlli oculistici, determinano la principale complicanza a cui incorre il paziente portatore di lenti con cheratocono: la fibrosi apicale.
Essa è una vera e propria cicatrice opaca della cornea che riduce la vista e la tollerabilità delle lenti, spesso in modo permanente.
La fibrosi apicale è inoltre la principale indicazione al trapianto di cornea.
Essa dipende da ripetuti meccanismi microtraumatici (“scaring” secondo gli autori anglosassoni), legati all’eccessivo appoggio all’apice del “cono”di una lente.
I primi sintomi sono spesso solamente delle fitte di dolore “come una puntura” o come un “corpo estraneo” fra lente e occhio. Solo le fasi avanzate producono una seria riduzione delle tollerabilità.
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L’ APPLICAZIONE DI LAC RGP A “RISPARMIO DELL’APICE CORNEALE”
Per evitare la fibrosi apicale da LAC rigide legata a meccanismi microtraumatici all’apice del cono, negli ultimi anni si sono evolute molte nuove tecniche applicative “ a risparmio dell’apice corneale”. Tutte queste lenti evitano che le lenti appoggino in modo eccessivo all'apice del cheratocono creando un “cuscinetto” di lacrima fra lente e occhio.
Purtroppo a tutt’oggi coloro che beneficiano di queste tecniche sono ancora una la minoranza dei pazienti con cheratocono.
Dalle prime esperienze con il metodo studiato in America noto come CLEK, che ha ormai alcuni anni ma che viene adottato ancora da diverse ditte produttrici di lenti, alle nostre lenti a calco elettronico il rischio della fibrosi apicale, in caso di corretta applicazione, appare decisamente minore.

PER CHI NON TOLLERA LE LENTI A CONTATTO
Esistono alcune opzioni per chi è affetto da cheratocono, non vede sufficientemente con gli occhiali, ma non tollera le lenti rigide gas permeabili tradizionali.
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1) L’uso di LAC gemellate pure
Si tratta di applicare nello stesso occhio due lenti, una morbida sotto, che ha la funzione di supporto e cuscinetto e una rigida gas-permeabile sopra (magari la propria, poco tollerata). Questo semplice accorgimento permette, in genere, di migliorare in modo sostanziale la tollerabilità delle lenti rigide gas permeabili.
L’applicazione di LAC gemellate, conosciuto anche con il termine “piggy-back”, può essere utilizzata anche solo temporaneamente in soggetti poco motivati alla fase di adattamento, per attenuare i disagi del senso di corpo estraneo, oppure nei giorni in cui la lente si deve tenere più a lungo o, ancora, nei periodi di particolare irritabilità di superficie.
Si possono usare lenti morbide giornaliere usa e getta. Il potere ottico della lente morbida non conta se è limitato a un paio di diottrie positive o negative; è quindi meglio scegliere lenti di potere positivo (+1,00 o +2,00) in quanto al centro sono più spesse e fanno maggiormente da cuscinetto.
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2) Le LAC MORBIDE ABERROMETRICHE
In grado di correggere le aberrazioni di alto ordine ovvero quelle indotte da astigmatismi irregolari tipici di cornee deformate come nel cheratocono.
Queste aberrazioni sono quelle che nel cheratocono impediscono di vedere bene con gli occhiali o con una comune lente morbida. Se invece applichiamo una LAC rigida, esse vengono “annullate” in quanto la superficie ottica attiva (diottro) diventa quella fra “lente e aria” (che, in una LAC rigida, è un diottro regolare). Questo è il motivo perché il paziente con cheratocono vede bene con LAC rigide; il problema insorge quando il paziente non tollera rigide e semirigide.
Il progetto delle LAC morbide a controllo aberrometrico, si sviluppa (come avviene per le LAC a “calco” RGP) grazie ad un link informatico fra l’aberrometro totale (in specifico l’ Onda della Optikon) ed il tornio che costruisce la lente in tornitura.
L’aberrometro è una macchia che “legge” tutti i difetti dell’occhio (miopia astigmatismo e aberrazioni di alto ordine) e li invia a uno speciali software che elabora il progetto della lente morbida che li andrà a correggere.
La tollerabilità di queste nuove lenti, risulta assolutamente simile a quella di qualsiasi altra LAC morbida.
Con questo sistema gli spessori centrali della LAC non sono mai troppo elevati come nelle classiche lenti spessorate per cheratocono (vedi capitolo dedicato).
In sistema di costruzione di questa speciali lenti a contatto, è molto recente e i dati clinici sono pochi. La scarsa esperienza ci rende prudenti ma l’impressione è che l’efficacia correttiva sia appena inferiore alla LAC rigide (quantomeno nei cheratoconi non avanzati e con cornea trasparente) e la tollerabilità sia elevatissima.
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3) Le LAC Morbide spessorate
Sono lenti morbide confezionate con una zona con uno spessore volutamente superiore a quello necessario alla correzione ottica.
Il presupposto correttivo è quello che, in presenza di superficie irregolare sormontata da una lente di grande spessore, l’irregolarità esterna (la superficie diottrica più importante: lente/aria) sarà comunque minore e la vista sarà conseguentemente migliore.
La tollerabilità è assolutamente identica a quella di una normale morbida soprattutto se la spessorata viene confezionata con un particolare materiale che fa respirare molto l’occhio.
Noi utilizziamo le lenti della Igel inglese che hanno una zona spessorata (centrale o decentrata) di 300 o di 500 micron (Figura 2).
Come le altre lenti morbide su misura, si possono costruire sferiche o toriche ovvero che correggono l’astigmatismo.
Talora la cornea è così irregolare o troppo elastica e queste lenti non consentono una buona e stabile qualità visiva. Il bello delle spessorate è che si può, con una semplice applicazione di prova, valutare la complessiva qualità visiva che potrà raggiungere prima di prescriverle: se questa non è soddisfacente si abbandona questo tipo di soluzione.
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4) Lenti IBRIDE o MISTE
Sono sorte nel tentativo di riunire in una unica lente quelle tipiche peculiarità delle lenti morbide, quali il comfort e la stabilità, con la migliore capacità correttiva delle lenti non flessibili. Si possono dividere in LAC composite o ibride (Figura 3).
Sono costituite da una parte centrale dura gas-permeabile e una parte periferica morbida. Con queste lenti si sono potuti risolvere diversi casi, ma con l’uso si sono evidenziati dei limiti determinati da un elevato rischio di scarsa ossigenazione corneale (ipossia) e dalle frequenti di rotture della lente durante la rimozione.

5) L’uso di LAC rigide personalizzate (custom-made)
Molto spesso, l’intolleranza all’uso di lenti a contatto nel cheratocono è legata all’applicazione.
Lenti inadatte, troppo grandi, che “grattano” l’apice della cornea o dove si senta il bordo, sono all’ordine del giorno. In questi casi una applicazione di LAC personalizzata, o, come dicono gli americani, “custom-made” può risolvere il problema. Il sistema Calco che adottiamo, consente di eseguire una lente di prova custom-made gratuita in quanto di materiale simile al “rigido classico”, per valutare il grado di tollerabilità del paziente. L’unico limite della lente di prova, è che si può portare solo fino a 5-6 ore consecutive.
Se poi il problema di tollerabilità è dovuto a ripetute abrasioni corneali (con senso di dolore trafittorio, lacrimazione intensa e fastidio alla luce, legato ai fenomeni di “scarring” e “fibrosi apicale”corneale), adottando queste lenti che hanno un “cuscinetto” di lacrima fra lente e occhio nella zona apicale, la tollerabilità torna elevata in breve tempo.
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Cura del cheratocono: cross-linking per bloccare l'evoluzione
Negli ultimi anni è stato sviluppato un vero e proprio trattamento del cheratocono basato su un metodo di “rinforzo” della struttura intermedia della cornea affetta da cheratocono ottenuto con un consolidamento dei legami tra le fibre che lo compongono. Il metodo di rinforzo corneale è noto come “cross-linking corneale.” (CXL).
Gli studi condotti sull’uomo, dimostrano che questo trattamento è in grado di bloccare l’evoluzione del cheratocono e spesso di migliorare la malattia all’ esame di topografia e, nei casi fortunati, migliorare anche la visione naturale e quella con gli occhiali.

Allo stato attuale milioni di pazienti con cheratocono hanno visto bloccarsi la malattia dopo questo intervento.
Non sappiamo con certezza quanto questo effetto potrà durare, ma allo stato attuale, sembra avere una durata di almeno dieci anni.
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Le tecniche del trattamento
Il CXL epi-off. o tecnica classica.
Tutte le tecniche cross-linking prevedono l’istillazione di un collirio a base di vitamina B2, o riboflavina, che serve come adiuvante alla formazione dei legami delle fibre collagene e a proteggere i tessuti oculari interni (endotelio corneale, cristallino e retina) dai danni delle radiazioni ultraviolette. La tecnica Epi-off si esegue asportando meccanicamente dell’epitelio corneale dopo l’istillazione di qualche goccia di collirio anestetico locale. Successivamente alla rimozione dell’epitelio corneale e alla applicazione ripetuta della riboflavina in collirio, la cornea viene sottoposta a una irradiazione a basso dosaggio con raggi ultravioletti di tipo A (UVA) che permettere il rinforzo delle fibra collagene.
Questa tecnica è attualmente la più eseguita e quella che dà risultati migliori e più duraturi. L’intervento si esegue in sala operatoria e presenta un decorso, fino a quando l’epitelio corneale non si sarà perfettamente riformato (in genere un paio di giorni) con una visione annebbiata ed una sintomatologia caratterizzata da dolore, fotofobia e sensazione di corpo estraneo che potrà essere controllata anche con l’assunzione di antidolorifici per bocca.
I pazienti portatori di LAC per cheratocono dovranno sospenderle per alcuni giorni o al massimo qualche settimana.

Complicanze di questo trattamento: dagli studi sperimentali effettuati si è potuto constatare che questo trattamento non produce effetti collaterali a carico di altre strutture oculari (endotelio corneale, cristallino, retina) né porta alla formazione di cicatrici invalidanti. L’unica complicanza frequente è il ritardo nella riparazione dell’epitelio con prolungamento di qualche giorno del dolore oculare.
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Il CXL TRANSEPITELIALE (TE)
La tecnica trans-epiteliale si esegue con le stesse modalità ma senza asportare l’epitelio (quindi senza sala operatoria senza disagi nel post intervento o rischi di ritardo di riparazione della ferita).
È stato dimostrato però che, essendo l’effetto di rinforzo sulla cornea molto superficiale, non ha la stessa efficacia della tecnica classica.
Nel 2017 è stata apportata una nuova tecnica TE (chiamata CXL custon-fast) che prevede un trattamento personalizzato sul’apice del cono: i dati preliminari sono molto interessanti ma servirà del tempo per confermare la durata dell’efficacia.

Il NUOVO CXL con IONTOFORESI
Per ovviare alla scarsa penetrazione della riboflavina senza la rimozione dell’epitelio (CXL TE), è appena arrivata un tecnica che prende il nome di IONTOFORESI. Essa sfruttando la capacità della riboflavina di penetrare l’epitelio integro grazie alla presenza ad un campo magnetico (come avviene da anni nelle tecniche fisioterapiche di ionoforesi), dovrebbe ovviare allo scarso effetto della tecnica CXL TE e consentire un apprezzabile risultato mantenendo le stesse caratteristiche del trattamento senza sala operatoria. Il paziente potrà quindi tornare a lavorare, salvo complicazioni, già al secondo giorno e riutilizzare le LAC qualche giorno dopo. Difficilmente si va incontro a arrossamenti e dolenzia.
Risultati ottenibili con il CXL IONTOFORESI: la maggior parte degli esperti considerano questa tecnica equivalente in termini di efficacia a quella classica epi-off.
In questo studio si esegue il trattamento di cross-linking corneale riboflavina-UVA sec. protocollo autorizzato C.E. con tutte le metodiche succitate.
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Miopia giovanile

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